lunedì 5 e giovedì 8 ottobre ore 21.30
Regia di Yorgos Lanthimos, con Angeliki Papoulia, Mary Tsoni, Hristos Passalis, Anna Kalaitzidou, Alexander Voulgaris, Christos Stergioglou, Michele Valley. Titolo originale: Kynodontas. Genere Drammatico, – Grecia, 2009, durata 94 minuti. Uscita cinema giovedì 27 agosto 2020 distribuito da Lucky Red.
Da qualche parte sotto l’Acropoli e dietro il muro alto di una villa, vive una famiglia ‘autarchica’. Il padre, in comunione con una moglie sottomessa, ha deciso di crescere i propri figli al riparo dal mondo. Soltanto lui ha il diritto di superare i confini del giardino e il dovere di mantenere la famiglia. Tutte le menzogne passano per lui, anche la collera, fino lo scacco. Figlie e figlio restano a casa a imparare una vita che non ha nessuna corrispondenza col reale. A covare il nido una madre che li alleva nel culto della performance, evocando, per trattenerli dentro, una minaccia esterna. L’educazione passa per l’apprendimento di parole che hanno perso il loro referente, quella sessuale per un’impiegata della fabbrica dove il padre è dirigente. Assunta per soddisfare i piaceri del figlio maschio, Christina è l’enigmatico ospite che porterà scompiglio nella ‘tradizione’.
Come risvegliare la coscienza di un Paese addormentato? Con una seduta ipnotica di ipnosi. Alla seconda prova, Yorgos Lanthimos firma un’allegoria della manipolazione mentale, meglio, dell’educazione rigida delle dittature, dei totalitarismi, del patriarcato, provando a smontarli e a mostrarne il meccanismo.
Fortemente condizionata, la famiglia (ovvero il popolo) si lascia sottomettere non conoscendo altra realtà, nessuna sfumatura tra bene e male, moralità e immoralità. Il quotidiano imposto è il solo quotidiano, i protagonisti non ne escono mai, non sono mai pronti. In quella bolla delirante, uno zombie diventa un fiore giallo, un gatto diventa una creatura malefica e assassina, all’età adulta poi si accede perdendo il canino (permanente). Lo ha detto papà.
L’universo diventa assurdo per chi non è mai andato oltre il perimetro del suo giardino. E dall’assurdità di certe situazioni, Lanthimos deriva un humour nero. Le risate scaturiscono sovente da un malessere davanti all’immaginazione della manipolazione, alla sua perversità. Come nei drammi di Ionesco o nei film di Haneke, in Dogtooth l’uomo diventa animale fra ellissi e tempi morti, silenzi e dialoghi crudi. Ma Lanthimos rilancia per donare forza al suo proposito.
Nudità, perversione, trasgressione, asservimento, balordaggine, l’autore greco non contempla il fuori campo. Mostrare, mostrare tutto e preferibilmente in piano fisso e in primo piano per aumentare fastidio e disagio. In quei piani il film perde forza di colpo, l’eccessivo diventa insignificante, quasi vano. È piuttosto nei controcampi ‘fuori’, quelli che fanno respirare il film e lo spettatore, che Lanthimos trova la forza abbacinante della denuncia.
Dietro i muri, genitori senza nome crescono figli senza nome, ricreano un mondo dove forgiano e suggestionano una prole innocente. Un mondo carcerario. Una prigione tanto più crudele perché ficcata sotto il sole insolente della Grecia, di cui qualche aria musicale ascoltata in auto richiama la bellezza, la libertà e il ribollio di miti indissociabili da questo Paese.
In quel castello di purezza xenofoba, dove le parole cambiano di senso, la riproduzione è un mistero divino, gli aerei cadono ‘come giocattoli’ e il nonno ha la voce (e il talento) di Frank Sinatra, Lanthimos svolge una cronaca di fascismo ordinario per dire qualche cosa della sua esasperazione, del suo Paese e della famiglia come spazio totalitario, mondo a sé ossessionato dalle proprie leggi. Eludendo le trappole del suo racconto e il simbolismo eccessivo, si muove sul terreno di Pasolini, mettendo in crisi sistema e protocolli con un messaggero dell’altrove. Naturalmente, l’incontro ravvicinato con la realtà non salverà nessuno. Christina, l’unico personaggio ad avere un nome, a parte quel Bruce rubato al cinema dalla figlia maggiore, è la manifestazione improvvisa al centro del nulla umano. È la condizione, arbitrariamente stabilita, di un teorema che dimostra la forza scandalosa del sacro e collassa la famiglia, prima teatro della crudeltà umana. (Marzia Gandolfi, mymovies.it)