ESTERNO NOTTE – SECONDA PARTE: dal 9 giugno
feriali ore 17.15 e 21.00
sabato ore 21.00
domenica ore 17.15 – 20.30
LUNEDI’ RIPOSO
Regia di Marco Bellocchio. Una serie con Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo, Fausto Russo Alesi, Gabriel Montesi. Genere Drammatico, – Italia, 2022, Uscita cinema mercoledì 18 maggio 2022 distribuito da Lucky Red. 163′
1978. Aldo Moro, nel farsi campione del compromesso storico, firma la sua condanna: agli occhi delle Brigate Rosse, che vogliono il rovesciamento del governo, e a quelli della Democrazia Cristiana più conservatrice, che rifiuta qualunque coalizione con il Partito Comunista Italiano. Moro viene rapito dalle BR e trattenuto in prigionia per 55 giorni di buio, durante i quali all’esterno succederà di tutto: incontri al vertice, crisi di coscienza, tavoli politici e tormenti privati, accordi e disaccordi, e poi lettere, segnalazioni, comunicati, false piste e piste volutamente falsate, proteste di piazza, maxiprocessi, udienze. Tutto sotto gli occhi di tutti, eppure tutto segreto e misterioso. È quella notte esterna in cui l’Italia ha vissuto e continua a vivere, poiché il caso Moro, come molti altri misteri nazionali, resta impresso nella memoria di tutti, ennesimo vulnus di Stato destinato a non essere sanato.
“Aldo Moro è l’Italia”, si dice in Esterno Notte, la serie in sei puntate con cui Marco Bellocchio rimette mano al racconto del caso Moro, vent’anni dopo il suo Buongiorno, notte.
Ed è proprio come cartina di tornasole del nostro Paese che Bellocchio affronta di nuovo quel vulnus, rifrangendo la vicenda attraverso vari prisma.
Francesco Cossiga, Papa Paolo VI, Adriana Faranda, Eleonora Moro. Più tante figure di mezzo (o mezze figure) come Benigno Zaccagnini, Enrico Berlinguer, Valerio Morucci, Domenico Spinella, Cesare Curioni, un probabile Steve Pieczenik. E naturalmente Giulio Andreotti.
Bellocchio affronta la serialità come il più geniale degli showrunner, perché invece di puntate crea stazioni della Via Crucis per un morituro predestinato dalle sue scelte politiche e personali: e il ticchettio con cui comincia il racconto segnala l’inizio del conto alla rovescia della sua parabola cristica.
La prima “stazione” è dedicata a Moro stesso, interpretato da Fabrizio Gifuni con un atto di immedesimazione totale e di profonda empatia con l’uomo molto prima che il rappresentante dello Stato. Il suo Moro si muove in un mondo di ombre e di silhouette scure che procedono in branco: e che diventeranno quei “manichini” che tutti ricordiamo, allineati in prima fila al suo funerale. La sua storia è quintessenzialmente italiana e “letteraria”: il matrimonio DC-PCI “non s’ha da fare”, e Moro lo racconta come una mossa gattopardiana al suo partito, antigattopardiana a Enrico Berlinguer.
Lavati bene le mani, ripete Moro alla figlia, e saranno in molti a lavarsi le mani di lui, compreso il più pilatesco di tutti, quell’Andreotti cui non è dedicato un capitolo ma che aleggia su tutta la vicenda, comparendo qua e là come una maschera da Bagaglino, e portando via con sé tutti si segreti di Stato. E sulle mani di Cossiga, ben interpretato da Fausto Russo Alesi e chiamato ad incarnare un senso di colpa inestinguibile, compaiono macchie che ricordano quelle sulle mani di Lady Macbeth. Anche Palo VI, in cui si cala con autorevolezza e pietas Toni Servillo, si impone un cilicio e una condotta pubblica che fa di lui l’alter ego ecclesiastico di Moro. Persino Adriana Faranda (la “dura” Daniela Marra) è tormentata dal dubbio: sulle vere intenzioni dei brigatisti, sul senso logico di sacrificare l’ostaggio, sulla scelta di abbandonare la figlia per sposare la rivoluzione.
Eleonora Moro è invece una monumentale Margherita Buy nel ruolo della sua carriera: riservata ma non mite, continuamente spiazzata dall’incalzare degli eventi e sempre più orripilata dall’immobilismo della DC, gradualmente consapevole del martirio cui i suoi “amici” hanno destinato il marito, pentita della fiducia loro accordata.
Intorno a loro, quel circo mediatico e quelle immagini incise nella nostra memoria: manifestazioni e proteste, elicotteri e posti di blocco, sedute spiritiche e buchi nell’acqua, maghi e psicologi, intercettazioni e sogni rivelatori. E quelle richieste disperate d’aiuto, quella paura dichiarata della morte, da parte di un uomo di Stato, che l’hanno avvicinato a tutti noi, facendoci recepire la “linea d fermezza” del governo come un’aberrazione disumana e imperdonabile.
La maestria di Bellocchio e dei suoi cosceneggiatori (Stefano Bises, Ludovica Rampoldi, Davide Serino) sta nel raccontare con impeto sanguigno e indignazione, nel giustapporre momenti e immagini (il montaggio impeccabile è di Francesca Calvelli), nell’evocare fantasmi, nel trovare gli accompagnamenti musicali giusti (compresa un’Internazionale “wagneriana”), nell’intessere immagini di archivio e frammenti di TG che ci ricordano lo stupore annichilito con cui tutti abbiamo seguito la vicenda.
“Restituite alla libertà, alla famiglia, alla vita civile Aldo Moro”, dice Paolo VI, e quello che fa Marco Bellocchio è restituire al pubblico italiano, attraverso la sua rielaborazione artistica e creativa, una pagina della nostra Storia nella sua stratificata complessità, ricordandoci la cieca obbedienza di tanti: al potere, alla rivoluzione, agli “amici americani”, alla Chiesa e a quella prudenza che “è la prima delle virtù cardinali”.
Lo scollinamento progressivo di Aldo Moro verso il suo destino segnato è raccontato come la discesa in un imbuto, come Alfredino Rampi nel pozzo artesiano, circondato da sedicenti “salvatori” cui Moro faceva “più paura da vivo che da morto”. Il registro con cui Bellocchio ripercorre questa “storia ignobile” da par suo si muove fra il grottesco e il ridicolo, fra l’impasse istituzionale e il delirio ideologico delle BR. Un mondo che “si ci fosse luce sarebbe bellissimo”, ma che invece è l’esterno notte della nostra coscienza. (Paola Casella, mymovies.it)