venerdì 17 ore 19.10
sabato 18 ore 16.20 – 21.20
domenica 19 ore 18.00
lunedì 20 ore 17.10
martedì 21 ore 19.10
mercoledì 22 ore 21.20
giovedì riposo settimanale
Regia di Ali Abbasi, con Mehdi Bajestani, Zahra Amir Ebrahimi, Arash Ashtiani, Forouzan Jamshidnejad. Genere Thriller, – Francia, Germania, Svezia, Danimarca, 2022, durata 117 minuti. Uscita cinema giovedì 16 febbraio 2023 distribuito da Academy Two
UN THRILLER AFFASCINANTE, LUCIDO E METODICO CHE SA INTRIGARE ATTRAVERSO L’AMBIVALENZA (Tommaso Tocci, mymovies.it)
Siamo a Mashhad, seconda città più grande dell’Iran e importante sito religioso. Nel 2000, un serial killer locale inizia a prendere di mira le prostitute per strada, strangolandone diciassette dopo averle attirate una ad una a casa sua. La stampa lo chiama “il ragno”, e tra i giornalisti che coprono il caso c’è Rahimi, una donna che viene da Teheran e si mette sulle tracce dell’assassino. L’uomo si rivelerà essere Saeed Hanaei, ex-militare convinto che Dio gli abbia affidato la missione di liberare la città dalle donne indegne che vendono il proprio corpo.
Il thriller e in particolare il sottogenere relativo agli assassini seriali si arricchiscono con Holy Spider di un esemplare affascinante, che grazie al cinema “ibrido” dell’autore di sensibilità europea Ali Abbasi mescola spunti narrativi familiari al grande pubblico con una proficua esplorazione della misoginia radicata nella società iraniana. Il risultato è un’opera lucida e metodica che non somiglia a nessuno dei suoi ingredienti.
Abbasi si era fatto notare nel 2018 con il film svedese Border, mentre qui torna ad avere a che fare con l’Iran che gli ha dato i natali. Proprio all’epoca dei fatti, Abbasi stava per lasciare il suo paese e iniziare il percorso che l’avrebbe portato a stabilirsi in Svezia e poi in Danimarca. La storia di Saeed Hanaei, che fu poi catturato e giustiziato, è rimasta nota per la trasparenza e l’apertura con cui l’uomo rivendicò i suoi propositi omicidi, e per l’assurdo supporto che i suoi proclami religiosi gli garantirono presso una parte dell’opinione pubblica.
Abbasi omaggia questo aspetto di auto-evidenza della storia, spogliando la mitologia cinematografica del serial killer di ogni mistero: il suo Saeed è protagonista del film da subito, tanto quanto l’eroina Rahimi che gli dà la caccia, e prima che i rispettivi sentieri entrino in rotta di collisione c’è tutto il tempo di sviscerare la figura di un uomo tormentato dai traumi della guerra, insoddisfatto della direzione della sua vita, e carismatico nel guadagnarsi l’approvazione della moglie e del figlio prima ancora che degli altri cittadini di Mashhad, pronti a scagliarsi contro il basso valore morale e il cattivo esempio delle prostitute uccise.
Una dualità, quella delle sofferenze domestiche – a tratti patetiche – di un uomo piccolo che sembra poi farsi minaccioso assorbendo l’energia misogina che si respira in strada, che è frutto del grande lavoro di Mehdi Bajestani, in un ruolo difficile non soltanto dal punto di vista cinematografico.
Il film lo incornicia spesso sulla moto, per strade che dovrebbero essere in Iran ma che invece sono state ricreate in Giordania (dove è più facile girare senza scendere a compromessi), e i cui fondali vengono spesso resi più morbidi dal fuori fuoco.
Abbasi conosce l’importanza di una regia d’effetto, e lavora in modo impeccabile sulla fotografia e soprattutto sulle musiche, poco legate al luogo e che dunque contribuiscono al paradosso di una storia ultra-specifica nel contenuto ma al tempo stesso ibrida e non del tutto identificabile nella forma.
Agli antipodi della precisione estrema di Fincher e del suo Zodiac, questo film di serial killer intriga attraverso l’ambivalenza, le cose che non dovrebbero essere, e quelle che non sono ciò che aspettavamo.