per la rassegna Altre Visioni
lunedì 23 dicembre ore 17.00 – 21.30
Regia di Ari Aster, con Florence Pugh, Jack Reynor, William Jackson Harper, Will Poulter, Vilhelm Blomgren. Titolo originale: Midsommar. Genere Drammatico, Horror, Thriller – USA, 2019, durata 140 minuti. VM 14 anni
Dani ignora l’ennesima chiamata di aiuto della sorella bipolare, rassicurata in questo dal fidanzato Christian. Christian vorrebbe rompere con Dani, ma non sa come dirglielo. Quando purtroppo le peggiori paure sulla chiamata si rivelano fondate, è troppo tardi per intervenire. Christian decide quindi di invitare Dani a partecipare al viaggio organizzato dall’amico Pelle in un curioso villaggio svedese, per effettuare studi antropologici e insieme svagarsi nel festival che celebra il solstizio d’estate.
Un film su cui non tramonta mai il sole. Eppure l’orrore può crescere anche qui, senza sfruttare il favore del buio, dove è più inatteso, evidente e quindi più terrificante.
Con audacia pari alla fiducia nei propri mezzi, Ari Aster ci fa intraprendere un viaggio di 140 minuti in un bizzarro contesto rurale e, insieme, dentro la nostra identità di uomini del XXI secolo. Il primo per lunghi tratti sembra un’attualizzazione, non priva di parodia, del sottogenere “folk horror”, che fa capo – per intenderci – al cult The Wicker Man di Robin Hardy. Film in genere caratterizzati da culti misteriosi, che rivelano crescenti indizi in direzione di un paganesimo sanguinario e di pratiche abiette.
Ma è il secondo tema, naturalmente, a entusiasmare maggiormente: come già in Hereditary – Le radici del male, Aster utilizza materiale esotico ed eccessivo – là il satanismo e lo spiritismo, qui il paganesimo ancestrale e la Scandinavia – per studiare una psicologia che è essenzialmente americana e contemporanea. Serve recarsi laggiù per meglio comprendere un qui fatto di non detti e di paure represse, di orrori indicibili celati tra le mura domestiche, incistati nella disperazione di rapporti famigliari insanabili.
Ci pensano i primi minuti di film a condurci, repentinamente, in quello che ormai possiamo chiamare “territorio Ari Aster”. Hereditary e il suo lento incedere ci hanno infatti reso avvezzi a uno stile formalmente ineccepibile, a un linguaggio ricco di personalità che dona senso a ogni inquadratura.
Lo sguardo di Aster è ironico ma non distaccato, partecipe ma non immersivo, citazionista ma senza pedanterie; con una capacità di generare tensione e condurre lo spettatore per mano che è propria solo dei talenti maggiori. Hereditary conduceva in molte direzioni per strattonare con un finale grand guignol.
Midsommar assomiglia sul piano formale al film precedente, ma diverge per lo spirito che lo muove e per l’intento che si pone. Tutto è più consapevole e, con ogni probabilità, dipende direttamente dal successo del film precedente, quasi a rivendicare la libertà ottenuta di poter girare un così lungo e statico horror agreste, mettendo a dura prova la pazienza dello spettatore horror occasionale.
Attraverso il gruppo composito di amici, tipica comitiva destinata al macello delle sceneggiature horror – l’irruento con gli ormoni impazziti, lo studente cinico, l’egoista anaffettivo che sfrutta le idee altrui – Aster procede con la sua dissezione del maschio americano medio – un coacervo di egoismo e falsità, immerso in pseudo-valori di disarmante superficialità. Impossibile parteggiare per lui, almeno quanto lo sia identificarsi con i cultisti svedesi: resta solo Dani come possibile transfert, a cui dà vita una eccellente Florence Pugh. È attorno a lei che ruota l’intero percorso di Midsommar, surreale elaborazione di un lutto che può essere razionalizzato e accettato solo in una dimensione altra, aliena alle leggi dell’uomo e di una società civile fallata. Il conformismo di “distrarsi” nel senso più edonistico del termine trova così un impietoso rovescio della medaglia.
Per Dani prendere atto della propria situazione, invece, implica liberarsi delle ultime catene terrene, abbracciare la dimensione del dolore e della disperazione, la mancanza di ogni legame residuo con la civiltà. Abbandonare la società degli uomini, fino al limite estremo delle lande di Midsommar, per potervi un giorno, forse, fare ritorno. (Emanuele Sacchi, mymovies.it)