Movie Thumb

Se la strada potesse parlare

12 Gennaio , 2019

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Movie Story

giovedì 24 ore 17.00 – 19.15
venerdì 25 ore 17.00 – 19.15 – 21.30
sabato 26 ore 18.00 – 20.15 – 22.30
domenica 27 ore 16.00 – 18.15 – 20.30
martedì 29 ore 19.15
mercoledì 30 ore 21.30

Negli anni Settanta, nel quartiere di Harlem, la diciannovenne Tish aspetta un bambino dall’amore della sua vita, il fidanzato Fonny. Ma dovrà dirglielo attraverso un vetro, perché Fonny è stato incarcerato per un crimine che non ha commesso. C’è un poliziotto bianco di mezzo e far vincere la verità appare un’impresa sempre più difficile e costosa. Ma Tish non si arrende e la sua famiglia è con lei.

Dopo aver vinto l’Oscar con Moonlight, Barry Jenkins porta sullo schermo uno dei libri più noti e apprezzati di James Baldwin, “If Beale Street Could Talk”.

Un romanzo scritto dopo gli assassinii di Malcolm X e Martin Luther King e dunque intriso di tutta la disillusione e la rabbia che quel momento storico poteva ispirare nella comunità afroamericana e non solo, eppure un romanzo pieno di amore. Jenkins sullo schermo prova a fare lo stesso, mescolando due piani temporali vicini tra loro ma lontani per temperatura emotiva, per raccontare tanto la passione giovanile e la voglia di futuro quanto l’ingiustizia di far parte di una parte di popolazione spinta in ogni modo a vivere nella paura.

Jenkins ricorre moltissimo all’uso del primo e del primissimo piano, per tutti i suoi personaggi e non solo per le scene che contemplano i due protagonisti. In alcuni casi, come per la madre di Fonny o l’amico uscito devastato dal carcere, il primo piano racconta qualcosa che va oltre le parole, in un’area di inconoscibilità psicologica, di trauma, ma il più delle volte, quell’estrema prossimità racconta la sincerità del personaggio, la trasparenza della sua anima, l’amore nel suo sguardo. Così, anche se non tutto nel film ha lo stesso livello di intensità, siamo catturati dalla richiesta di attenzione che ci fa la regia, oltre che dalle particolari, lunghe sequenze di dialogo, nelle quali la musica gioca un ruolo fondamentale.

A Jenkins non riesce ancora l’impresa di rendere eloquente ogni cosa: ci sono elementi che restano muti, come la passione per la scultura di Fonny, o meno efficaci di quel che vorrebbero essere, com’è per le scene più esplicitamente romantiche, ma la sua personalità registica è indubbia e l’immagine è posta al centro del suo lavoro, prioritaria.

Impossibile non restare ammirati dalla voce del colore, ardente, e dalla cura posta nella caratterizzazione dei personaggi, dalla fisicità timida e particolare di Tish, alla forza della madre (l’attrice Regina King) e della sorella Ernestine, di cui si lascia intravedere la complessità con il minimo delle pennellate. Che conquisti o meno, il suo è uno statuto: la bellezza delle immagini contro le brutture del mondo. (Marianna Cappi, mymovies.it)