per Altre Visioni
THE GREAT BUSTER – v. or. sott. ita – di Peter Bogdanovich
martedì 22 ore 21.20
mercoledì 23 ore 17.20
lunedì riposo settimanale
Regia di Peter Bogdanovich, con Peter Bogdanovich, Mel Brooks, Bill Hader, Werner Herzog, Buster Keaton. Genere Documentario, – USA, 2018, durata 101 minuti. Uscita cinema lunedì 14 novembre 2022 distribuito da Cineteca di Bologna.
UN OMAGGIO PUNTUALE A BUSTER KEATON. E UNA CAVALCATA A SPRON BATTUTO IN OLTRE MEZZO SECOLO DI ATTIVITÀ NELLO SPETTACOLO (di Raffaella Giancristofaro, mymovies.it)
Per celebrare in coro il grande attore e regista del muto Buster Keaton, il critico e regista Peter Bogdanovich raccoglie tutti i film restaurati a disposizione dalle cineteche e raduna i testimoni più vicini anagraficamente ma anche quelli, come lui, pieni di ammirazione.
The Great Buster: A Celebration è il titolo originale di questo profilo biografico di taglio tradizionale che però, in ossequio al dinamismo di Keaton, è anche una cavalcata a spron battuto in oltre mezzo secolo di attività nello spettacolo.
Nato in una famiglia di attori di vaudeville che già da bambino lo coinvolgevano nella loro arte, scagliandolo come un “proiettile umano”, Joseph Frank Keaton (1895-1966) cresce apprendendo l’arte dell’intrattenimento in quella forma originaria e artigianale com’era intesa e praticata nell’era pre-cinema. Sarà infatti l’illusionista Harry Houdini, compagno di palco dei genitori di Keaton, a soprannominarlo “buster” (caduta, capitombolo), suggerendogli così la gag che lo renderà più riconoscibile e amato. L’altro elemento che lo caratterizza con decisione è l’espressione del viso sempre estremamente statica e immobile, tra il malinconico e il corrucciato.
Eppure “The Great Stone Face” (faccia di pietra) che si era dato la regola di non sorridere mai, mostrerà, nel passaggio dal muto al sonoro e poi nell’ultima, anche inaspettata fase della sua carriera, una plasticità sorprendente (eccezionale il suo contributo artistico all’advertising televisivo, riscoperto dal film) e la capacità di controllare una solida recitazione drammatica. Come nel raro cortometraggio Film di Alan Schneider, scritto da Samuel Beckett, e occasione che, con sua stessa sorpresa, lo vedrà celebrato, nell’era Chiarini, alla Mostra del Cinema di Venezia 1965, a seguito, nel 1960, dell’Oscar speciale alla carriera (meglio sarebbe dire “tardivo”, basta vederlo in azione nei pochi secondi di apparizione in Viale del tramonto o con Chaplin in Luci della ribalta).
Il regista di Paper Moon traccia come sempre in parallelo anche un piccolo saggio di storia del cinema, tra analisi critica di alcune sequenze, in osservazione della costruzione della scena, e rilievi biografici che ne determinarono la carriera: matrimoni sbagliati, la parentela imbarazzante con Roscoe “Fatty” Arbuckle, il rapporto con gli studios rispetto al controllo produttivo, fino alla caduta nella depressione e nell’alcolismo. Ma l’aspetto più rilevante di The Great Buster è nell’eredità (molto spesso non riconosciuta) che Keaton ha lasciato ai posteri, con la grandezza di chi ha compreso e affinato le leve dell’azione e dell’emozione. Non è un caso che in incipit, in un’apparizione televisiva Frank Capra ricordi come il declino degli “artisti di pantomima” fu provocato dall’arrivo del sonoro e dei cartoon.
Questi ultimi però mutuando molte caratteristiche del loro metodo. Fino alla reverenza dei comici e registi action contemporanei, da Tarantino al Jon Watts di Spiderman – Homecoming o a campioni della comicità come Bill Hader (“Saturday Night Live”, South Park) e Johnny Knoxville di Jackass.
Non solo Bogdanovich esalta la consapevolezza registica di Keaton – in particolare la sequenza onirica di Palla n°13, la messa in scena di Come vinsi la guerra, il fiume muliebre e l’inseguimento dei massi rotolanti di Le sette probabilità – ma esalta il ritmo del lavoro attoriale di Buster con trionfanti brani di musica classica. Perché la gag comica, come ogni azione scenica, è una questione di tempo, cioè di matematica e musica. Keaton ne conosceva ogni segreto e la metteva in scena nascondendone i trucchi. Un’illusione che si rinnova a ogni visione. Premio Venezia Classici alla Mostra del Cinema nel 2018.