venerdì 16: ore 17.00 – 19.10
sabato 17: ore 16.10 – 21.20
domenica 18: ore 18.30 (vers.it.) – ore 20.40 (vers.orig.sott.it.)
lunedì 19: ore 21.20
martedì 20: ore 17.00 – 19.10
mercoledì 21: ore 21.20
GIOVEDI’ RIPOSO SETTIMANALE
Regia di Monia Chokri, con Magalie Lépine Blondeau, Pierre-Yves Cardinal, Monia Chokri, Francis-William Rhéaume. Titolo originale: Simple comme Sylvain. Titolo internazionale: The Nature of Love. Genere Commedia, – Canada, 2023, durata 110 minuti. Uscita cinema mercoledì 14 febbraio 2024 distribuito da Wanted
La storia di un amore travolgente ma impossibile, ostacolato dalla distanza culturale tra due amanti.
TRA IRONIA E PARODIA, UN CINEMA FORMALISTA ED ESIBITO CHE INDAGA SUL DESIDERIO FEMMINILE.
Recensione di Roberto Manassero
venerdì 2 febbraio 2024
Sophia è una professoressa di filosofia del Quebec, quarantenne colta e benestante, da tempo sposata con Xavier. Insieme ai loro amici d’estrazione medio-borghese, i due conducono un’esistenza tranquilla, per quanto ormai priva di passione. L’incontro con Sylvain, l’operaio chiamato a restaurare la casa sul lago della coppia, sconvolge finalmente la vita ordinata di Sophia: irresistibilmente attratta dall’uomo, travolgente e rude tanto quanto il marito è educato e distaccato, la donna si fa coinvolgere da un amore totale e trova il coraggio di seguire la sua passione. La distanza culturale e i pregiudizi dei due amanti finiranno però per ostacolare la relazione.
Monia Chokri prosegue dopo Babysitter l’analisi del desiderio femminile con un melodramma al tempo raffinato e sguaiato, all’incerto confine fra ironia e parodia.
In passato attrice per Xavier Dolan (in Gli amori immaginari e Laurence Anyways), nei lavori da regista Chokri, québécoise anche lei, ha scelto uno stile simile a quello dell’amico e collega: un cinema dallo stile formalista ed esibito, in cui immagini curate al limite dell’estetizzante riproducono la superficialità delle trame e i toni tra l’eccessivo e il grottesco.
La natura dell’amore è un melodramma, e come tale parla soprattutto in termini visivi, affidando alla caratterizzazione dei personaggi – gli abiti, l’ambiente in cui si muovono, le parole che usano, i gesti che compiono, anche le urla che emettono – il compito di esprimere le loro emozioni e i loro desideri.
Sophia (interpretata da Magalie Lépine Blondeau, un vulcano sul punto d’esplodere) è bella, elegante, composta, veste tailleur color beige, così come suo marito Xavier (Francis-William Rhéaume) indossa colori spenti e parole monotone (in una discussione arriva a sostenere che una vita tranquilla e senza sesso è preferibile a una ansiosa). L’altro vertice del triangolo, che in breve tempo diventerà un semplice gioco a due, è il rude Sylvain (Pierre-Yves Cardinal, che aveva un simile ruolo da oggetto del desiderio in Tom à la ferme di Dolan), definito invece da un look da hipster anni Duemila, barba folta, camicia da boscaiolo, cappello da baseball, scarponi e bicipiti gonfi… Tre maschere, dunque, tre stereotipi che affermano al primo sguardo frustrazione sessuale, assopimento e irruenza. Il film gioca con i modelli figurativi e narrativi che si diverte a squadernare, compresa ovviamente l’attrazione degli opposti che unisce Sophia e Sylvain, e con un tono tipicamente “dolaniano”, cioè sguaiato e liberatorio, prova a scardinare entro le regole di una tipica storia d’amore impedita.
Il punto di vista è quello di Sophia, la sua voglia di sesso, il suo godimento, la sua scelta distruttiva, come suggerisce il titolo originale del film, Simple comme Sylvain, semplice come Sylvain. Agli occhi della donna colta ma irretita da anni di frustrazione, l’uomo brutale e dai modi spicci appare il viatico semplice per un amore liberatorio, il contraltare di tutte le sovrastrutture della vita borghese. Se non fosse, ovviamente, che anche l’amore passionale ha le sue, di sovrastrutture, e pure i sempliciotti sanno mettere due pensieri in fila.
Lo stile che si mantiene inalterato lungo tutto il film, e che filma i personaggi in primissimi piani sgranati, spesso ostacolati da porte e finestre o dislocati nell’inquadratura, trasmette anche in questo caso visivamente il disequilibrio della storia, i piani sfasati tra i due amanti. E proprio per questo, trattandosi di un melodramma, la sua prevedibilità. La storia prosegue perciò in maniera nota, mettendo in scena la distruzione della vita di Sophie, la sua rifondazione e la sua successiva caduta (inevitabile dopo l’ingresso di Sylvain nel suo mondo) e lasciando infine inalterata la distanza che l’amore aveva provato a colmare.
Tocca perciò al senso del ridicolo che traspare in alcune scene (la prima, durante la cena fra amici) e soprattutto alla rabbia espressa nel sesso squarciare la superficie di La natura dell’amore. Sophia urla quando gode, e nell’ultimo amplesso con Sylvain, in cui si piega volutamente all’immagine della donna-oggetto (e lui a quella del maschio predatore), sembra finalmente liberarsi dai suoi fantasmi: come a dire che solo prendendo alla lettera il ruolo che ogni maschera impone si finisce per incontrare la vera natura. Di sé e dell’amore.
Per il resto, tanto la vita borghese quanto quella trasgressiva o liberatoria, non sono altro che recite curate e sfinenti.