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Anselm

15 Aprile , 2024

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Posizione Home 2

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Movie Story

martedì 30: ore 17.20 – 21.20
mercoledì 1: ore 16.30 – 18.30 – 20.40
giovedì 2: ore 17.20 – 19.20 – 21.20
venerdì 3: ore 17.20 e 19.20 (V.IT.)- 21.20 (V.O.S.)
sabato 4: ore 16.30 – 18.30 – 21.20
domenica 5: ore 16.30 – 18.30 – 20.40
lunedì 6: ore 19.20
martedì 7: ore 17.20
mercoledì 8: ore 17.20 – 21.20

Regia di Wim Wenders. Documentario, – Germania, 2023, durata 93 minuti. Uscita cinema martedì 30 aprile 2024 distribuito da Lucky Red.

UNA BIOGRAFIA DELLA MONUMENTALE ARTE DI KIEFER CHE RESTA A MISURA D’UOMO, AMICHEVOLE E INTIMA.
Recensione di Marzia Gandolfi (mymovies.it)
sabato 27 maggio 2023
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Come approcciare l’opera proteiforme di Anselm Kiefer che evolve costantemente e mette in discussione con altrettanta costanza l’oscuro passato della Germania? Artista tedesco, nato l’8 marzo del 1945, due mesi prima della capitolazione nazista, è cresciuto in un Paese devastato dalla guerra che lo ossessiona e diventa il suo soggetto di predilezione. La domanda è sempre la stessa: che fare del passato del suo Paese natale? Per Kiefer l’onta è enorme, il sentimento di irrimediabilità insanabile, ma non si tira indietro e fa fronte all’incredibile crollo della grandezza culturale tedesca. Combatte corpo a corpo e realizza una delle possibilità dell’arte, che è quella di rivivere la storia, di viverla nuovamente, di penetrare al cuore di un evento che non poteva essere evitato per trovare le tracce di un’umanità perduta per sua stessa volontà. Kiefer non ne fa soltanto una questione di pensiero, va al cuore delle cose, prova, sperimenta, si mette in gioco e al centro di quello che non ha impedito la barbarie e forse l’ha resa possibile. Dipinge e ridipinge i miti fondatori, i monumenti della Germania distrutta, i corpi perduti perché negati dal mondo, evoca i poemi nati dalle ceneri.

A partire dagli anni Settanta, si butta a capofitto nella materia e non esista nell’avvenire a spostare le montagne, come ha fatto intorno alla sua residenza nel sud della Francia, scavando colline e costruendo torri. Eppure è sempre sull’orlo dell’equivoco, dell’interpretazione sbagliata. Questo accadeva soprattutto al debutto della sua carriera, oggi è un artista che gode di un credito particolare, raramente criticato, anche dagli avversari più risoluti della sua arte. Il suo viaggio comincia negli anni Settanta con le sue prime fotografie. A ventiquattro anni scatta una serie di foto in tutta Europa, nei luoghi toccati dalla guerra e dentro l’uniforme del padre. Posa col braccio destro alzato, il saluto hitleriano, per assumersi la responsabilità di quello che i suoi compatrioti hanno crudelmente dimenticato. “Occupazioni”, definizione delle “azioni” di Kiefer, era già una messa in discussione, una presa in carico delle domande poste dalla storia attraverso l’esperienza personale.

Di nuovo allora, come approcciare questo artista monumentale che ha fatto della monumentalità la sua firma? Perché da Kiefer tutto è enorme: le tele, sempre più grandi, assomigliano a campi di battaglie disertati, le architetture fasciste, i miti fondatori del romanticismo tedesco (Parsifal, Siegfried, La battaglia della foresta di Teutoburgo), i loro motivi (serpenti, spade…), il significato dimostrativo delle sue sculture, il loro numero, le loro dimensioni, la maniera con cui gioca con i materiali (cenere, piombo, sabbia, cemento, piante e pittura, nel senso più tradizionale del termine). Non sorprende che Anselm Kiefer sia stato il primo artista invitato all’esposizione “Monumenta” a Parigi nel 2007, è un pittore XXL, tutto è troppo grande e il visitatore un lillipuziano perduto nella sua grandiloquenza. Soltanto Wim Wenders, che ha conosciuto come lui il pesante silenzio del dopoguerra e poi la ricostruzione e infine la riunificazione, poteva anche solo immaginare di farne un ritratto. Il percorso del regista nell’arte degli altri, prosegue e si installa in Francia e in quell’atelier gigantesco che è Barjac, immenso terreno di sperimentazione e luogo che testimonia la ricerca demiurgica di Kiefer.

Dopo Présence, mediometraggio presentato alla Biennale d’arte contemporanea di Venezia, consacrato all’opera dell’artista francese Claudine Drai, e dopo Pina, elegia in rilevo alla memoria di Pina Bausch, Wenders tenta di nuovo l’impresa del 3D, girando un film sontuoso, una vera ‘installazione’ destinata ai musei e alle sale.

Per comprendere l’opera intimidente di Kiefer, per i mezzi che richiede e la quantità di questioni che solleva, l’autore evoca i luoghi e le circostanze. Wenders non sceglie la cronologia, dall’infanzia dell’artista ai nostri giorni, ma tesse piuttosto un’andata e ritorno stordente tra passato e presente, partendo direttamente dalle opere. Anselm è una biografia dell’arte di Kiefer e la sua bellezza sta nell’uso consapevole del 3D, di cui Wenders è ormai maestro raro e indiscusso. Dipinti e sculture si ergono come cattedrali davanti allo spettatore che osserva l’artista al lavoro e scopre che ogni creazione contiene la sua distruzione.

Kiefer attacca la materia, cola metallo fuso, brucia e frantuma le forme, fino a ridurle in rovina. Le rovina di una guerra che Anselm e Wim non hanno mai vissuto ma di cui indagheranno tutta la loro vita le cicatrici. La tridimensionalità non genera allora realtà ma fantasmi. Sullo schermo le opere di Kiefer guadagnano volume, non peso. Wenders ricorre ancora una volta alle risorse del 3D per accompagnarci nel viaggio dentro l’universo pieno di un pittore, di uno scultore, di un inventore di forme per cui serve evidentemente un altro linguaggio che il cinema conosciuto.

Anselm riesce nell’impresa di catturare il tempo nel lavoro di Kiefer e di renderne visibili le tracce. Quello che vediamo scorrere è il “lavoro della memoria”, non una vaga ingiunzione morale da applicare a intermittenza. È una pratica, un esercizio muscolare, una disciplina, perché l’artista ne fa un’attività quotidiana di scavo, riesumazione, modellamento, che gli conferisce la statura di ‘atleta della memoria’ tedesca e occidentale. Se il rischio con la sua opera gigantesca era cadere in un imponente monumento, enfatizzato dal 3D, il documentario resta, al contrario, a misura d’uomo.

Amichevole e intima, fin dal titolo, la relazione che Wenders stringe con Kiefer nel suo atelier-fabbrica, percorso in bicicletta, produce una meditazione astratta ed erudita sulla fertile bellezza del gesto che scolpisce e disegna, salda e martella. Mobile contrappunto all’artista, figura romantica e arcaica che parla con gli dei e li rende visibili ai mortali, Wenders passa in rassegna le sue ricerche e le sue ossessioni, orchestra oggetti artistici (dipinti, sculture, fotografie…) e apre percorsi nella sua tenuta, dove cattura le opere nello spessore del tempo, nella luce naturale, nel loro ambiente, così come Kiefer le ha installate, tra i rami, il cielo blu e le erbe selvatiche. In assenza di gravità, Anselm crea immagini oniriche, un mondo apocalittico, una terra di nessuno che rievoca i temi in gioco nell’opera di Kiefer.