Regia di Julien Faraut. Un film con John McEnroe, Ivan Lendl, Mathieu Amalric. Titolo originale: L’empire de la perfection. Genere Documentario – Francia, 2018, durata 91 minuti
Gil de Kermadec è stato un cineasta appassionato di tennis che aveva creato un metodo di osservazione delle posture dei tennisti con finalità didattiche. A un certo punto però decise di rinunciare alle riprese finalizzate allo scopo per seguire invece dal vero ciò che un campione faceva nel corso di una gara. Il soggetto prescelto fu John McEnroe.
La citazione in apertura ha lo scopo di metterci in guardia. Recita: “Il cinema mente. Lo sport no”. È firmata Jean-Luc Godard ed è, come di solito per il regista, apodittica.
In realtà le immagini che aprono il film sono legate allo sport ma suonano false, costruite, si potrebbe dire ‘in posa’. Quando entra in campo (sulla terra rossa del Roland Garros) John McEnroe le cose cambiano e le valenze di interpretazione aumentano. Perché la voce di Mathieu Amalric ci guida in un percorso complesso che ci riporta indietro nel tempo e non solo per la datazione degli incontri sostenuti dal tennista statunitense a Parigi. Come Godard vuole ci vengono proposte riflessioni sul ‘gesto’ del tennista che, supportate dalla presenza sulle tribune di uno dei più importanti redattori dei Cahiers du Cinèma, ci impongono riflessioni su una delle riviste di cinema che sono ancora in grado di influire sul lessico dei cinefili (francesi e francofoni soprattutto) con qualche eco che suona un po’ rètro.
C’è poi l’obiettivo centrato sul nervoso campione che consente di mettere in luce una psicologia complessa focalizzandosi sulla necessità per lui quasi cogente di un bisogno di rivalsa costante. Se l’arrabbiatura durante la partita per la quasi totalità dei suoi colleghi rappresentava un motivo di deconcentrazione per lui era invece uno stimolo a fare di più e meglio. In fondo la sua, come viene affermato, era una gara contro se stesso che aveva bisogno di trasformarsi in conflitto.
Assistiamo alle sue contestazioni con gli arbitri, alla tensione che lo pervade anche quando deve fare una foto di gruppo o solitaria per lo sponsor ma soprattutto ci vengono forniti strumenti per ‘leggere’ l’interazione produttiva tra l’oggetto delle riprese e lo sguardo della camera che lo osserva. Il grande campione così finisce con il trasformarsi in un pre-testo.