lunedì 18: ore 17.20 – 21.20
martedì 19: ore 19.20
mercoledì 20: ore 19.20 – 21.20
Regia di Andrea Paco Mariani, Luigi D’Alife, Genere Documentario, – Italia, 2023, Uscita cinema venerdì 24 novembre 2023 distribuito da OpenDDB.
Andata e ritorno dal 1988, quando da Melpignano partì il tour che squarciò la cortina di ferro tra Occidente e Urss, a suon di rock e punk.
L’INCREDIBILE STORIA DEL TOUR CHE CREÒ UN PONTE TRA MELPIGNANO E MOSCA, PASSANDO PER LA ROSSA EMILIA.
Recensione di Giovanni Bogani (mymovies.it)
lunedì 13 novembre 2023
Tutto nasce da un sogno, quello che gli organizzatori del festival “Le idi di marzo”, Antonio Princigalli e Sergio Blasi – che in seguito avrebbe dato vita alle Notti della Taranta – fanno nel 1988: invitare alcuni gruppi musicali sovietici a suonare a Melpignano, e portare alcune band italiane a suonare in Russia. La cosa incredibile è che ci riuscirono: le band sovietiche arrivano in Salento. E i CCCP finiranno a suonare a Mosca e a Leningrado. Il film ricostruisce la parte italiana e quella sovietica di quel doppio tour, con materiale d’archivio, le testimonianze di testimoni di quel momento, come i giornalisti Alba Solaro, Francesco Costantini e del critico musicale Gino Castaldo. E con la testimonianza dei componenti storici dei CCCP, che per la prima volta dopo anni rivediamo insieme. Una reunion per il film, a casa di Giovanni Lindo Ferretti sull’Appennino tosco/emiliano. Ma che potrebbe anche preludere ad altri progetti.
Attraverso molti filmati d’archivio e con la collaborazione dei CCCP – Fedeli alla linea, il documentario racconta l’incredibile storia del tour che riuscì a creare un ponte tra due mondi: Melpignano e Mosca, passando per la rossa Emilia. Grazie alla forza della musica.
Utopie, sogni. Questa è una storia di utopie e sogni. Quelli di ragazzi italiani che vedevano nel socialismo una promessa di libertà, di rivoluzione, che sognavano la Russia come luogo di una rivoluzione realizzata. E i sogni dei russi, che vedevano invece la stessa utopia nell’Occidente capitalista. Ventenni italiani che sognano Mosca: ventenni di Mosca che sognano il rock e l’Europa. Per capire alla fine, sia gli uni che gli altri, che si stavano sbagliando, e che l’utopia, lo dice parola stessa, non è in nessun luogo. Kissing Gorbaciov documenta una stagione folle della musica italiana, raccoglie le schegge di un passato che sognava un futuro mai realizzato.
È paradossale, questo film che mette insieme il Salento, l’Emilia e quella che allora era chiamata Unione sovietica. Una terra che ancora non era nata alla musica, che ancora non era diventata di moda, ma era soltanto una immensa pianura di olivi massicci e secolari; una terra, l’Emilia, con altre pianure infinite e tanta musica, tanti musicisti dentro; e una terra sterminata, dove un’utopia di felicità per tutti si era trasformata presto in un incubo autoritario, e che in quel momento stava andando a pezzi, stava diventando la caricatura di se stessa, un mondo allo sfascio.
1988: trentacinque anni fa. I film che vedevamo in quegli anni, erano film americani che mescolavano tecnologia, ottimismo, commedia: Chi ha incastrato Roger Rabbit?, Un pesce di nome Wanda, Rambo III, I gemelli, Good Morning Vietnam, Beetlejuice, Dirty Dancing. C’era l’edonismo reaganiano. Presidente degli Stati Uniti era Ronald Reagan, che nel 1985 aveva detto, nel fuori onda di una conferenza stampa: “per recuperare gli ostaggi, la prossima volta mando Rambo”. La Guerra fredda c’era ancora, sì. Ma qualcosa nel ghiaccio si incrinava. I russi stavano smettendo di essere cattivi nei film. Schwarzenegger, in Danko, impersonava un capitano di polizia sovietico molto simpatico, nel primo film americano autorizzato a girare nella Piazza Rossa a Mosca.
Il documentario inizia a Melpignano, poche migliaia di abitanti, sullo sfondo una chiesa in pietra leccese color giallo paglierino. Lì facciamo conoscenza con i ragazzi di allora: quelli che sognavano un comunismo nuovo, e vinsero le elezioni comunali con una lista che aveva, nel simbolo, la falce e il martello. Ragazzi che iniziarono a sognare un grande concerto rock. Nel quale invitare gruppi locali, i più interessanti gruppi rock italiani del momento – Litfiba e CCCP – ma anche gruppi rock sovietici.
E qui parte la favola. Vera. Gorbaciov viene a sapere del progetto: e fa convocare quei ragazzi all’ambasciata dell’Unione sovietica a Roma. Finanzierà il loro progetto: farà arrivare in Salento alcuni gruppi rock russi. E inviterà quelli italiani in Urss.
I CCCP si imbarcano su un Aeroflot traballante, insieme ai Litfiba e ad altri gruppi, per esibirsi in Unione Sovietica in due concerti, e un viaggio di 8 giorni. Il 24 marzo 1989 debuttano sul palco del Sovincentr, alla periferia di Mosca. Dall’Emilia i CCCP vanno a cercare la Russia, come una madre mai conosciuta.
E arrivano momenti impensabili, sul confine fra il surreale e il comico. I CCCP a Mosca suonano “A ja ljublju SSSR”, brano scritto sulle note dell’inno sovietico – stirato e graffiato dalla chitarra di Zamboni come l’inno americano da quella di Jimi Hendrix – davanti a un gruppo di soldati dell’Armata Rossa sbigottiti, che nel dubbio si alzano tutti i piedi mettendosi sull’attenti…
Metti un’Unione sovietica in crisi, con Gorbaciov che sta facendo di tutto per renderla più democratica, più “trasparente”, moderna, accettabile, cercando di afferrare la Storia per la coda, anche se la Storia va più veloce, e il Muro di Berlino sta per sgretolarsi di lì a pochi mesi. Ma in quell’ultimo crepuscolo dell’impero, ecco che c’è un gruppo di musicisti italiani che si chiama “CCCP – Fedeli alla linea”. Il socialismo reale è ormai depotenziato, privo del pungiglione: è solo, per i ragazzi italiani di quegli anni, il sogno di qualcosa di diverso dalla realtà di plastica che stanno vivendo in Occidente. “Gli americani ci hanno colonizzato il subconscio”, faceva dire Wenders a due suoi personaggi in un film degli anni ’70.
Sta tutto qui, il film di Luigi D’Alife e Andrea Paco Mariani. Le immagini delle videocamere degli anni ’80 sono sgranate, i colori sfarfallano, quei volti sembrano venire da un altro pianeta.ma anche questa è la nostra storia. Siamo stati – chi ha quell’età – come quei ragazzi lì. Massimo Zamboni che strappa quelle note feroci alla chitarra, e per il resto sembra uno studente universitario di Lettere; Annarella con i suoi vestiti pazzeschi, fra i Daftpunk e Alberto Camerini, presi in chissà quali mercatini; Danilo Fatur, che sembra la Cosa dei Fantastici 4; e Giovanni Lindo Ferretti con il suo sguardo febbrile, la sua giovinezza. Fa impressione rivederli, oggi, a Cerreto Alpi, a casa di Ferretti, in quella che è la prima reunion certificata dei quattro. Riuniti grazie al film.
Vederli lì, oggi, con trentacinque anni in più addosso. Dimenticati i dissidi, i dissapori. Pacificati, inteneriti nell’atto di ricordare. Con nascosto da qualche parte, ancora, un po’ di quel fuoco.
“Ma come mai non ci hanno arrestati?”. A un certo punto se lo chiedono, i quattro ragazzi di sessant’anni, vedendo Annarella vestita da matrjoska, che piano piano toglie gli strati del suo costume davanti alla cattedrale di San Basilio, nella Piazza Rossa di Mosca, il luogo più controllato di tutta la Russia. Non sanno darsi una risposta, o forse una risposta c’è: il crollo del potere sovietico era nell’aria.
Sono loro, i ragazzi dello zoo del Cremlino.
Che poi, Gorbaciov non lo baceranno. I CCCP non incontreranno il segretario del Pcus di allora, ma toccheranno con mano lo sfacelo di quel mondo. “Da un treno scaricavano casse enormi di stoviglie e bicchieri”, ricorda Giovanni Lindo. “Le buttavano in terra, e le stoviglie si frantumavano tutte, ma gli scaricatori continuavano come se niente fosse; mentre altri caricavano su quelle casse e le trasportavano, tutte frantumate, su dei carretti. A nessuno importava niente. E noi capimmo lo sfacelo di quel mondo”.
Il film riesce a raccontare un momento cruciale della Storia, la fine della Guerra fredda, attraverso le singole storie di musicisti che vissero, in quel momento, un momento altrettanto cruciale della propria crescita. E, come effetto collaterale, il film ha anche agito sulla realtà, catalizzando il riavvicinamento dei componenti dei primi CCCP.
È prezioso, questo film. Per chi c’era. E per chi non c’era. Per chi c’era, senza avere avuto l’occasione di andare al di là della cortina di ferro, a toccare con mano quello sfacelo, quel disastro economico e di ideali. Per chi non c’era, per sapere che c’erano ragazzi che sognavano, e sognavano forte, e avevano coraggio. E sapevano fare spettacoli folli, senza paura di niente. I nostri Clash, i nostri Einstürzende Neubauten. Chiedi chi erano i CCCP.
E, sia detto fra parentesi, ripensando a quei tempi. A vedere quella Unione sovietica, che impacciata cerca di tendere la mano all’Occidente e ai suoi scalmanati punk padani, a pensare a come Gorbaciov stava cercando il disgelo, una faticosa pacificazione, che poteva passare anche dal rock, viene da ribattezzare il film, e chiamarlo, dentro di noi, “Missing Gorbaciov”.