Vers. restaurata 4k originale con sottotitoli italiani
lunedì 11: ore 21.20 – vers. orig. sott. ita
martedì 12: ore 17.00 – vers. orig. sott. ita
mercoledì 13: ore 19.20 – vers. orig. sott. ita
(USA/1945) di Alfred Hitchcock
Soggetto: dal romanzo The House of Dr. Edwardes di Francis Beeding. Sceneggiatura: Ben Hecht. Fotografia: George Barnes. Montaggio: William Ziegler, Hal C. Kern. Scenografia: James Basevi. Musiche: Miklós Rózsa. Interpreti: Ingrid Bergman (dottoressa Petersen), Gregory Peck (John Ballantyne/dottor Edwardes), Rhonda Fleming (Mary), Michail Čechov (dottor Brulov), Leo G. Carroll (dottor Murchison). Produzione: David O. Selznick per United Artists. Durata: 118’.
Restaurato in 4K nel 2023 da Walt Disney Studios in collaborazione con The Academy Film Archive, MoMA – The Museum of Modern Art e The Film Foundation presso i laboratori Cineric, Inc. e Audio Mechanics.
“Volevo solo girare il primo film di psicoanalisi. Ho voluto rompere con il modo in cui il cinema presenta i sogni. Ho chiesto a Selznick di assicurarsi la collaborazione di Salvador Dalí. L’unica ragione era la mia volontà di ottenere dei sogni visivi con tratti netti e chiari. Volevo Dalí per il segno della sua architettura, le ombre lunghe, le distanze che sembrano infinite, le linee che convergono nella prospettiva, i volti senza forma” (Alfred Hitchcock). E voleva Ingrid Bergman per le ragioni di sempre: mettere in scena lo spettacolo di un’algida bionda persa in un amore che potrebbe esserle fatale. In realtà, la Bergman algida non è mai, gli occhiali e i capelli che sfuggono allo chignon fanno anzi della dottoressa Petersen uno dei personaggi più sexy della sua carriera. Quel palpitante titolo italiano che sostituisce l’enigmatico Spellbound nutrì fanciullesche vocazioni femminili alla psichiatria. Ma tra un passo e l’altro d’una psicanalisi illustrata come una favola, quali squarci formidabili sa aprirsi questa cinepresa: il povero Gregory Peck, che per antico trauma odia il bianco e le righe, s’inoltra nel candore d’un bagno piastrellato, e in un attimo comprendiamo “l’illimitato, criptico terrore che può emanare dagli oggetti” (James Agee); poi, il ritorno del rimosso, in due sole inquadrature silenziate, è il più conciso e agghiacciante che potremo mai ricordare. La resa dei conti, col suo finale fiotto di rosso, è scritta sul filo tra pathos e sudore freddo.