(USA/1958) di Alfred Hitchcock
Versione originale inglese con sottotitoli italiani
Sceneggiatura: Alec Coppel, Samuel Taylor, dal romanzo D’entre le morts di Pierre Boileau e Thomas Narcejac. Fotografia: Robert Burks. Montaggio: George Tomasini. Musiche: Bernard Herrmann. Scenografia: Hal Pareira, Henry Bumstead. Costumi: Edith Head. Interpreti e personaggi: James Stewart (Scottie), Kim Novak (Madeleine/Judy), Barbara Bel Geddes (Midge), Tom Helmore (Gavin Elster), Ellen Corby (padrona dell’hotel), Konstantin Shayne (proprietario della libreria), Raymond Bailey (medico). Produzione: Alfred Hitchcock per Paramount. Durata: 128′
SINOSSI
John “Scottie” Ferguson, un poliziotto che soffre di vertigini, viene incaricato da un suo ex compagno di scuola di sorvegliare la moglie Madeleine a causa delle sue tendenze suicide. Scottie si innamora di lei ma non riesce a impedire che lei si getti da un campanile. Caduto in depressione, un giorno incontra Judy, una donna troppo simile a quella scomparsa…
“Nell’odissea dello spazio e del tempo, miseri amanti, immersi nella spirale di una città, San Francisco, vivono nel desiderio sempre umiliato di un paradiso terrestre impossibile” (Maurizio Del Ministro). Capolavoro tra i capolavori hitchockiani degli anni Cinquanta, di tutti il più esistenziale: sotto la vernice del Technicolor serpeggia il senso del disagio, dell’umana inadeguatezza, della ragione inservibile, delle passioni inutili, d’una tristezza che Truffaut arrivò a chiamare necrofilia. “Perché ci si insinua un sospetto: forse il solo amore eterno di cui siamo capaci è quello per chi non ci appartiene più. L’amore che non muore è l’amore per un fantasma” (Gianni Amelio). Il cinema, ovvero rendere tangibili le regole dell’attrazione: per il vuoto, per la schiena di Kim Novak bordata di seta verde.
Il film, che nel 2018 ha compiuto 60 anni, era il preferito del suo autore, che non si capacitò mai del suo modesto risultato al botteghino. Era un film troppo moderno, onirico, cupo e ossessivo per il pubblico del 1958, ma la storia del Cinema ha finito per dare ragione al maestro. La fama del film è cresciuta vertiginosamente negli anni, tanto che nel 2012, inaspettatamente, ha scalzato, dopo decenni di dominio incontrastato, Quarto Potere di Orson Welles dal podio di miglior pellicola di sempre nella classifica della prestigiosissima rivista Sight & Sound.
Interpretato da James Stewart e Kim Novak, all’apice espressivo delle loro carriere, Vertigo gode anche di una eccezionale partitura musicale del maestro Bernard Herrmann, uno dei geni incontrastati del suono hollywoodiano (Psycho, Taxi Driver, Quarto Potere, Fahrenheit 451, La Sposa in nero) e dei titoli di testa grafici di Saul Bass, praticamente l’inventore della motion graphic.
Come pochi altri film, Vertigo merita e pretende il grande schermo; girato in vistavision con un magnifico technicolor, è il film che ha insegnato a intere generazioni di registi come usare il colore in funzione simbolica e spettacolare. Quando il protagonista Scottie, dopo aver costretto Judy a vestirsi e truccarsi come la defunta, amatissima, Madeleine, la vede avanzare, incorniciata da un’onirica, espressionista luce verde che la rende letteralmente un fantasma, lo schermo esplode di luce. Un’esperienza imperdibile per qualunque appassionato, da godersi in sala come un rituale dal sapore antico.
Innumerevoli le invenzioni di regia, destinate a fare scuola: una su tutte, per dare al pubblico la sensazione di vertigine che prova James Stewart, Hitchcock girò delle inquadrature in soggettiva che combinavano uno zoom in avanti con una carrellata all’indietro.
Vertigo è un film unico nella filmografia di Hitchcock, è un film unico anche rispetto al cinema hollywoodiano. Anzi, è un film unico e basta. Punto.(Martin Scorsese)
Rivedo Vertigo come minimo ogni due mesi (François Truffaut)